Nell’ottobre dello scorso anno, una serie di scoop di Avvenire rivela gli incontri che delegati del governo italiano hanno avuto nel 2017 con Abd al-Rahman al-Milad, noto anche come “Bija”. Bija è uno dei più efferati trafficanti libici di esseri umani, il suo ruolo di interlocutore ufficiale rappresenta l’ennesima macchia per il governo italiano, già responsabile, attraverso i memorandum, di finanziare i lager libici.

Tuttavia, a dispetto della portata e delle implicazioni, la notizia degli incontri governativi con Bija ha un impatto debole sull’opinione pubblica e la politica. È questo il paradosso di un paese dove il giornalismo d’inchiesta, nel coprire le crisi migratorie, ha spesso dato il meglio di sé, ma allo stesso tempo ha subito la spinta di un’agenda mediatica e politica altamente intossicato dalla più cinica propaganda. Tutto ciò che è lontano dall’ossessione per le Ong “taxi del mare”, così come gli oscuri complotti che le vedono protagoniste, sembra poco spendibile in termini di consenso o indici di ascolto, e dunque non meritevole di attenzione.

Un cortocircuito di cui sono vittime innanzitutto le persone che scappano da zone di conflitto ed emergenze umanitarie, ma anche gli stessi cittadini che subiscono questo gioco al ribasso. Ciò mentre in Libia divampa da mesi la guerra civile. Verso cui la nostra debole e ondivaga strategia politica ha prodotto tra i vari risultati quello di spingere la Libia tra le braccia della Turchia, modificando sensibilmente gli equilibri politici nel Mediterraneo.